Da: A Volte Mi Viene da Dire - "VATTENE"

Foto di Diego Piccaluga




Da. “A Volte Mi Viene da Dire” http://diegopiccaluga-pensieri.blogspot.it/
Questa mattina mi è capitato di assistere a una scena inconsueta, almeno per quanto mi riguarda.
In compagnia del mio amico, stavo dirigendomi al bar della baracchina, nella piazza centrale del paese. Arrivati all’altezza dei tavolini esterni, sentiamo alcune frasi dette a voce sostenuta… “VATTENE… TI HO DETTO CHE DEVI ANDARTENE… VAI VIA… HAI CAPITO…? ” una “persona” si stava rivolgendo così a un uomo africano che gli chiedeva di acquistare qualcosa della sua mercanzia. 

La scena ci ha colpito, inevitabilmente, però in maniera differente, il mio amico era più in sintonia con la proprietaria della baracchina che, dopo che ci eravamo accostati al banco, ci ha esternato tutto il suo disprezzo per quell’italiano intollerante. Io ho vissuto quella scena in modo molto diverso, all’inizio ho pensato… “E già… gridi così perché non sei nelle stesse condizione dell’africano”. 

Quel “signore” per il solo fatto di essere italiano, bianco, mi ha dato l’impressione che si sentisse autorizzato a trattare in malo modo l’africano perché aveva osato disturbarlo e magari insistere nel catturare la sua attenzione.
La scena però era talmente surreale, quell’urlare era così evidentemente eccessivo che io non ho provato né disprezzo per quell’essere intollerante, né pena per l’africano, che del resto guardava il tizio che gli urlava contro con lo sguardo perplesso, forse gli scappava anche un po’ da ridere.
Bevuto il nostro caffè, siamo andati a fare quello che dovevamo fare e poi siamo ripassati per la piazza. L’uomo stava tranquillamente parlando con i suoi amici, e l’africano stava tranquillamente proponendo la sua merce a due donne anziane sedute fuori da un hotel. 

Avrei potuto sentire rabbia dentro di me, e forse, fosse capitato in un’occasione diversa da quella di oggi l’avrei provata, probabilmente anni fa. Sono rimasto indifferente invece, non so, forse perché mi sembrava una scena teatrale, talmente le parole quasi urlate di quell’uomo erano di un tono così eccessivo per quell’occasione.
Il mio amico sarebbe intervenuto fisicamente se avesse dato retta al suo primo istinto, io forse ho provato più pena per quell’italiano, poiché ho avvertito un malessere dentro di lui che certo non dipendeva dall’africano, una rabbia che non poteva essere scaturita in un’occasione così consueta e banale. Una reazione del genere può dipendere solo da un nervosismo interiore dovuto a chissà cosa.

Pensandoci su, a distanza di qualche ora, m’infastidisce che spesso non cerchiamo di capire le condizioni degli altri; in generale. Siamo attentissimi alle nostre: a quello che ci manca, che ci infastidisce, alla mancanza di rispetto che hanno gli altri nei nostri confronti, ma per i nostri simili proviamo, se va bene, solo una leggerissima comprensione.
Io forse sono anche troppo eccessivo, m’immedesimo anche nella sofferenza di una mosca che rimane intrappolata tra due zanzariere e la conseguenza è che devo liberarla; tanto amo la libertà e odio la costrizione.
Provo una tale tristezza per l’essere umano in certe occasioni, soprattutto perché so che dentro di noi esiste una bellezza, una gioia, un potere così appagante, solo che a volte coltiviamo maggiormente la nostra parte oscura, confusa, sconnessa e questo è triste.
Diego Piccaluga                                                        http://diegopiccaluga-pensieri.blogspot.it/

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